sabato 23 luglio 2011

Ora la procura indaga sulla villa della Ferrero

23/07/2011 - il caso

Ora la procura indaga sulla villa della Ferrero



Anche Gambarino sentito
dai pm sul suo immobile

Alberto Gaino
Torino


Le ville sono in costruzione sulla collina di frazione Cordova, a Castiglione


Chi ha pagato le ville di Castiglione? Nei giorni scorsi l’ex assessore regionale Caterina Ferrero e il suo ex alter ego alla sanità Piero Gambarino sono stati interrogati separatamente nell’inchiesta che è costata all’una il ruolo istituzionale e gli arresti domiciliari, all’altro un soggiorno prolungato in carcere. Il riserbo ha preceduto e seguito la loro convocazione in procura, ma, fra gli argomenti sollevati dai pm Paolo Toso e Stefano Demontis, c’è stato quello delle due ville costruite dal Consorzio Torino (presieduto per oltre dieci anni da Gambarino) a Castiglione Torinese, in frazione Cordova: una splendida collina sfregiata dal cemento e in particolare dagli abusi edilizi realizzati per ampliare le costruzioni fianco a fianco. I pm hanno posto domande sulle modalità di pagamento della villa di proprietà di Ferrero e del marito Claudio Coral (figlio di Nevio in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa). L’avvocato Roberto Macchia taglia corto: «Ciascuno ha pagato la sua parte, ci mancherebbe altro. Le ville non sono oggetto di contestazione».

Ma di indagine, sì. Tant’è vero che Ferrero si è presentata in procura con fatture per 77 mila euro che dovrebbero confermare le sue dichiarazioni. «A titolo esemplificativo». Perché, è altrettanto fuor di dubbio, che una villona in un posto incantevole non può costare come una portineria e nemmeno di quelle spaziose in una zona semincentrale.

Il Consorzio Torino e Gambarino hanno costruito molto sulle colline di Castiglione. Il faccendiere ha ancora la residenza in strada del Mondino dove, su Internet, si indica anche l’indirizzo di riferimento del condominio “I Girasoli”, complesso di 12 villette a schiera costruite dal solito Gambarino, con vista sull’intimitià dei dirimpettai.

Dove l’«edificatore» ha dato il meglio di sé è stato in frazione Cordova: i lavori di costruzione delle due ville, in fase ormai di ultimazione, sono stati bloccati nel novembre scorso in seguito alla frana provocata dai lavori e ai muraglioni realizzati in tutta fretta per bloccarla. Minacciava i vicini di casa. L’inchiesta sui maneggi nella sanità del duo Gambarino & Ferrero ha svelato quanto l’uomo brigasse nei primi giorni di dicembre per sistemare gli abusi edilizi alla sua maniera.

Il 5 dicembre, di sera, Ferrero comunica al suo braccio destro che è «partita una denuncia penale» e che «riguarda entrambi». Il giorno dopo Gambarino si dimette dalla presidenza del Consorzio Torino e con lui l’intero cda. Il 7 «Piero telefona ad un ingegnere - informa una relazione della Guardia di Finanza - e gli chiede se ha conoscenze al genio civile. Insiste nel dire che bisogna fare qualcosa, “altrimenti l’assessore deve dimettersi, perché è proprietario e la cosa è penale”. L’ingegnere suggerisce che si potrebbe sostenere che il Comune ha perso i disegni. Fa ipotesi su come si può nascondere la cosa».

Le ville sono da allora sotto sequestro. Una settimana prima di essere arrestato, Gambarino fu convocato dal pm Francesco Pelosi per quelle violazioni. Poi, è emerso il resto: i rapporti d’affari, anche nel Consorzio Torino, con esponenti della ‘ndrangheta (vicini alle cosche) riversatisi, come ombre pesanti, pure nella costruzione delle due ville in frazione Cordova.Per il gip Anna Ricci si trattò «di un vero e proprio regolamento di conti» il ferimento a coltellate, la sera del 13 aprile 1999, di Giuseppe Vergantino mentre rincasava dopo la chiusura del suo locale.

La procura aveva chiesto l’archiviazione del caso dopo un lunghissimo periodo in cui il fascicolo era rimasto in un armadio. La ragione: i due arresati della prima ora, zio e nipote, non erano stati riconosciuti dalla vittima quando questi, un mese dopo la gravissima aggressione, fu in grado di essere interrogato, una volta sciolta la prognosi riservata, e non li riconobbe. L’ordinanza di rigetto della richiesta di archiviazione trasmessa via fax nei giorni scorsi agli avvocati Vittorio Pesavento e Roberto De Sensi, difensori di Antonio Cinà e Nicolò Favata poggia sulla convinzione che Vergantino non avesse detto il vero non riconoscendo i suoi aggressori e ha disposto che le indagini riprendano e siano approfondite.

Di vicenda oscura e possibile regolamento di conti avevano parlato i giornali 12 anni fa per le modalità dell’aggressione e le numerose coltellate inferte alla vittima. Che era riuscita ad impossessarsi, nella colluttazione, di un cellulare risultato in uso a Antonio Cinà. La polizia gli perquisì la casa e trovò che il giovane aveva una vistosa fasciatura alla mano destra. In più venne rinvenuto un telefonino uguale a quello sottratto la sera prima a Vergantino che aveva riferito: «Uno dei miei aggressori aveva chiamato l’altro Antonio». Poi che erano albanesi. Il gip: «Si ritiene utile a distanza di diversi anni dai fatti di sentire nuovamente la persona offesa al fine di verificare se il mancato riconoscimento dei suoi aggressori fosse dettato dalla paura di ritorsioni». I due indagati, originari di Palermo, vivono da anni di nuovo nella loro città dove hanno avuto problemi con la giustizia.